Claudio Coccoluto è una delle personalità più importanti per la club culture italiana. Un DJ che ha lasciato un segno indelebile nel passato e che ci accompagna, grazie ai suoi consigli, nel futuro.
In vista della sua esibizione al More Festival abbiamo fatto una bella chiacchierata che vi proponiamo qui di seguito.
Ciao Claudio, è un onore ospitarti sulle pagine di The Italo Job.
Venerdì 9 giugno ti esibirai nella città più bella del mondo, Venezia, in occasione della quinta edizione del More Festival.
Vogliamo partire proprio da qui, Venezia è universalmente considerata la città più bella del mondo per le sue peculiarità, la sua storia e il suo inestimabile patrimonio artistico.
Raccontaci il tuo concetto di bellezza applicato alla musica.
Sono uno degli ottimisti convinti che la bellezza ci salverà, dove nella parola bellezza includo tutto il percorso che un individuo posso fare alla ricerca della stessa o almeno alla sensibilizzazione personale; se tutti fossimo più attenti percepiremmo che dove c’è bellezza c’è arte e sapienza, a partire dalla natura nella quale scorgiamo un intervento sovrumano fino ai manufatti dell’uomo che non sono che il modo che ha un individuo di elevarsi verso il divino, vincendo il nostro nemico naturale: il tempo. Poi se le arti e le bellezze si fondono in un unico scopo è meraviglioso! Poter comunicare in una location prestigiosa attraverso la musica e scambiare suggestioni con le persone in un momento di grande ricettività quale è un party, è sempre una grandissima opportunità. Ci da la possibilità di spaziare (letteralmente) oltre le omologazioni che il clubbing si è auto-inflitto nelle quattro mura dei club canonici e porta tutto ad un livello più alto di consapevolezza.
La tecnologia ha radicalmente cambiato il nostro modo di relazionarsi alla musica. I media veicolano costantemente contenuti e messaggi che sono diventati accessibili a chiunque. McLuhan diceva “il medium è il messaggio”, ovvero la non neutralità dei media produce inevitabilmente un’influenza sul destinatario al di là del contenuto stesso.
Come hanno influito i media nel cambiamento della fruizione della musica nel corso degli anni?
La tecnologia ha radicalmente cambiato il modo di relazionarsi anche al cinema, alla TV, alle forme più creative e artistiche del marketing, appiattendo un po’ tutto verso il basso, dove il valore è la “quantità”, la Musica è solo la vittima più eccellente, ma non la sola, di atteggiamento di “good enough” portato all’esasperazione, che ha perso le sue intenzioni socio-filosofiche per diventare alibi dell’industria vecchia e nuova per abbassare gli standard di professionalità di un percorso creativo che voglia diventare prodotto, dignitosamente commerciabile e fonte di sussistenza dell’artista e delle professionalità collegate a questo processo. Come per tutte le cose che hanno riguardato la globalizzazione, la gente ha avuto il vantaggio economico della fruizione ma a discapito del valore intellettuale, come un mobile di ikea, come una t-shirt di H&M, costano poco, durano poco, valgono poco… intanto i brand delocalizzano, abbassano i costi di produzione e fanno profitto sulla grande mole di consumo, depotenziando il valore della “qualità” delle cose.
Quale consiglio daresti a un giovane che nel 2017 vuole approcciarsi al mondo del djing?
Suona quello che ami, sorprendi te stesso, non smettere mai di ascoltare, la tua vera missione è emozionare, ricorda sempre che sei “uno nel party” non “il Party”.
È uscita la ristampa di “Belo Horizonti” in occasione del suo 20° anniversario con uno speciale remix → deejay.de, self
Nella tua decennale esperienza hai vissuto varie fasi del mondo del clubbing. Il contesto sociale, il contesto economico, i cambiamenti tecnologici, sono elementi che hanno influenzato e modificato il modo di vivere la musica e il divertimento notturno.
Quali sono stati i punti più alti e quelli più bassi a tuo avviso? Attualmente come ci attestiamo? E che idea ti sei fatto dello sviluppo futuro?
Viviamo la notte, uno spaccato privilegiato della società, perché ha un valore aggiunto di verità contrapposto all’ipocrisie della vita diurna. Comunque viviamo il nostro tempo con i suoi problemi che inesorabilmente si specchiano nella pista da ballo: economia divisa tra poco abbienti e super ricchi, egocentrismo vacuo del selfie “digito ergo sum”, cultura musicale casuale e orizzontale, sono le grandi influenze che hanno mutato la morfologia del club: la “cabina” è ora un palco farcito di led-wall, spara fiamme e coriandoli, serve da scenografia ad un pubblico prevalentemente impegnato a filmare e postare gridando al web che sono li in quel momento, piuttosto che a ballare o ascoltare con attenzione, per cui il concetto della rockstar che vent’anni di clubbing-culture si era affannata a cancellare, si è riproposta in un a forma ancora più pacchiana e circense. Anni persi a predicare che il party è un luogo dove ogni singolo è un componente del tutto, in una vettorialità circolare, per poi tornare al “tutti contro uno”, del palco inaccessibile, di un patetico sbracciarsi dietro un tavolo, che è l’immagine tipica e stereotipata di ogni foto che racconti uno di questi macro-eventi. Per fortuna c’è un effetto “rebound” a tutto questo e come al solito lo scenario è quello dei piccoli club frequentati da appassionati, che stanno giovando dell’essere “bastian contrari” rigettando certe forme di marketing e certe “ricette” musicali che sanno di merendina industriale; ho molta fiducia in questo modo e negli artisti che si sottraggono ala “macchina” per recuperare una artigianalità molto apprezzata dalle persone più esigenti, contemporaneamente ad un eclettismo musicale che sarà sempre più importante e significante.
Sappiamo che sei sempre stato un sostenitore del Vinile. Come ti prepari abitualmente per un set di 3h come quello che eseguirai al More Festival? Come selezioni i dischi da suonare?
Non ho un metodo preciso, per me è una cosa molto umorale e cambia anche rispetto allo stato d’animo: comunque si tratta di fare delle sessioni di ascolto che durano giornate sane, in cui cerco di immaginare cosa potrei trovare in quella situazione, cosa potrei/vorrei suonare tra i dischi che mi piacciono, tra quelli acquistati e quelli “pescati” dall’archivio… mi interessa creare dei flussi sonori che tolgano importanza al singolo brano famoso e ne diano a quello meno conosciuto ma funzionale. In qualche modo la serata vera e propria si crea idealmente in quel momento, poi nella realtà le contingenze ti fanno cambiare strada, idea e schema ma è proprio questo il bello irrinunciabile e magico di quello che faccio: una sfida perpetua!
Sempre in relazione alla scelte stilistiche, una domanda quasi filosofica se vogliamo…per te conta di più la selezione o la tecnica?
Sempre stato dell’idea che il DJ debba avere il 50% dell’una e dell’altra, altrimenti è un Selector, dignitosissima e professionalissima definizione specifica.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal tuo set di venerdì 9 a San Servolo? Ci puoi dare qualche anticipazione?
Faccio sempre in modo di sviare le aspettative, credo sia la parte nobile di questa attività, cercherò di fare apprezzare cose al pubblico che il pubblico non sapeva di poter apprezzare, ma quali siano queste cose, ora non saprei dirvi!
Noi ci occupiamo da sempre di artisti italiani. A livello artistico gli artisti italiani hanno sempre dimostrato una creatività invidiabile in ambito di musica elettronica. Non sempre però ne sono stati riconosciuti i meriti a livello commerciale. Che ne pensi, condividi che il nostro standard qualitativo è sempre stato elevato, ma non ha avuto il giusto riscontro? C’è qualche esempio a sostegno di una o dell’altra tesi che puoi portare?
Credo che i DJ italiani siano superiori mediamente al resto del mondo per sensibilità, senso della “pista”, creatività, ricerca… ma ultimi della classe in quanto a capacità imprenditoriali (tranne le ovvie eccezioni), ma non è detto che oggi questo sia un male: è vero che non abbiamo partecipato in massa al “banchetto” dello sfruttamento commerciale dell’elettronica e i suoi derivati, vero che non eravamo in maggioranza nei roster delle agenzie e dei club più nominati degli ultimi dieci anni, quindi è vero anche che non siamo tra i responsabili del depauperamento che la scena ha subito con lo strapotere delle agenzie di booking, con i cachet iperbolici e ingiustificati, con i carteloni 6×3 zeppi di loghi anzichè nomi e il merchandising di grappe vini e cianfrusaglie elettroniche.
Chiudiamo chiedendoti di segnalarci 3 dischi italiani di cui consigli l’ascolto ai nostri lettori.
The True Underground Sound Of Rome Featuring Stefano Di Carlo – 1991 – 2016 Clouds [Male Records]
Kisk – Just-u [Apparell Music]
M.Zalla (Piero Umiliani) – Produzione (Gerardo Frisina rework) [Schema Records]
Ci vediamo venerdì 9 giugno al More Festival!